Tra le cose che mi interessano in qualche modo, trovo di certo l'arte contemporanea. Non mi pesa troppo il fatto di essere in qualche modo ignorante. le più contemporanee forme di espressione accendono affatto la mia curiosità ed i miei neuroni. Per cotale forma d'arte non so se sia meglio essere eruditi sull'intera storia dell'arte, o una certa ingenuità faccia gioco e predisponga a ricevere messaggi senza condizionamenti.
Sta di fatto che mi sono imbattuto in un libro di Gillo Dorfles, uno dei critici di Arte Contemporanea più attivi. Il testo "Ultime tendenze nell'arte d'oggi", ed Feltrinelli, immagino sia noto a tutti coloro i quali si interessano all'arte contemporanea.
A dire il vero, più che "imbattuto" in questo scritto, l'ho ripescato dalla mia libreria (chissà quando l'avevo comperato? Forse un paio d'anni fa a Milano? Forse tre?). Questi ripescaggi, dettati da ispirazioni del momento che in qualche modo coincidono con un po' di disponibilità di tempo e di spirito sono, spesso, sorprendenti -almeno per me.
Dunque cosa c'è di interessante in questo libretto? bè innanzitutto una certa enunciazione sulle differenze tra l'arte contemporanea di ultima tendenza e quella di inizion 900 e di quella tra le due guerre. Considerando che Dorfles scrive negli anni '70, l'oggetto della dissertazione è rappresentato da ALCUNI artisti attivi tra gli anni '50 e '70.
Ecco, ciò che Dorfles sostiene, e che mi ha colpito proprio perchè in qualche modo evidente ma fino ad ora per me non cosí efficacemente messo a fuoco, è che gli artisti di cui lui vuol trattare sono coloro i quali a suo giudizio possono essere ammessi nell'insieme dei contemporanei in quanto abbandonano ogni legame con l'arte figurativa dove per figurativo si include anche il mero germe dell'oggetto figurativo che ancora si annidava nei cubo-futuristi, surrealisti etc.
Questa cesura sarebbe dunque evidente in una serie di artisti che Dorfles si accinge a descrivere nel libro (NB al momento in cui scrivo ho appena iniziato la lettura del volumetto). I mezzi espressivi pongono l'accento sui materiali, sugli usi concettuali, sulle azioni. L'arte cambia forme ed in un certo qual modo i fini.
Dorfles pone inoltre un accento sullo straordinario interesse commerciale che questa nuova arte riscuote, non rimanendo più reietta e nell'ombra della clandestinità, bensì viene velocemente e prontamente assimilata dal milieux, elitario o alto borghese che sia. Naturalmente questo fa nascere dubbi e sospetti circa l'effettiva qualità dell'arte o l'eccellente capacità dei mercanti d'arte di piazzare i pezzi, o forse ancior di più gli artisti.
Ecco qui mi creo io un dubbio: ho come l'impressione che oggi sia l'opera d'arte a legittimare l'artista, che diventa di per se il prodotto e la merce, anzichè l'opera che lui effettivamente ha creato. La qualità intrinseca del prodotto artistico è indissolubilmente legato al nome dell'artista, che di per se viene riempito di plusvalore dalla capacità di rete sociale+professionale che egli stesso, o chi per lui, ha saputo creare.
Tornerò ancora su questo tema man mano che procederò con la lettura
domenica 8 giugno 2008
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